Dott. Massimo Giuliani

Psicologo e Psicoterapeuta
Diagnostica Neuropsicologica e Riabilitazione Cognitiva

Aree di intervento

PSICOTERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale (TCC) è una psicoterapia sviluppata negli anni ’60 e oggi adottata nella pratica clinica da buona parte degli psicoterapeuti nel mondo. È l’approccio psicoterapeutico che vanta il maggior numero di studi scientifici internazionali, che ne hanno dimostrato l’efficacia nella cura dei disturbi mentali, sia in associazione con la terapia psicofarmacologica che quale unico intervento. Deve la sua nascita alle teorie sul funzionamento mentale di uno psichiatra statunitense, Aaron T. Beck, che per primo sistematizzò un modello di funzionamento mentale che vedeva al centro del comportamento umano e delle sue disfunzioni, i pensieri, le idee e le percezioni che gli individui avevano degli eventi. L’individuo in questo modo reagirebbe più ai suoi pensieri e alle sue percezioni degli eventi che agli eventi stessi. Da questo, la TTC basa il suo intervento su tecniche di approccio finalizzate a modificare i pensieri e le credenze distorte, le emozioni disfunzionali e i comportamenti disadattivi, producendo una progressiva riduzione ed eliminazione dei sintomi alla base dei diversi disturbi in maniera persistente nel tempo.

È una terapia strutturata, ma con un certo grado di direttività ma anche di flessibilità, in quanto il terapeuta istruisce il paziente e assume un ruolo di guida esperta attiva. È solitamente di breve durata per ottenere cambiamenti significativi in tempi ragionevoli. Per questo è quella più spesso utilizzata dagli psicoterapeuti dei Servizi territoriali e degli Ospedali. Ha la caratteristica distintiva di essere prevalentemente orientata al presente, e si è dimostrata efficace nel risolvere soprattutto i disturbi mentali comuni di tipo reattivo, come i disturbi d’ansia, la depressione e i disturbi psicosessuali. La terapia cognitivo-comportamentale è rivolta sia all’età evolutiva sia all’età adulta e figura tra le Linee Guida NICE. E’ una terapia adatta al trattamento individuale, di coppia e di gruppo, e funziona a prescindere dal livello culturale, la condizione sociale e l’orientamento sessuale dei pazienti. I suoi punti di forza sono la concentrazione sul “qui e ora”, la strutturazione mirata degli interventi, le tempistiche di medio-breve termine, l’attivo coinvolgimento del paziente, e l’orientamento ad un obiettivo ben preciso.

Negli ultimi anni la “tradizionale” psicoterapia cognitivo-comportamentale si è arricchita di approcci e modalità di intervento innovativi che hanno dimostrato la loro efficacia in numerosi studi clinici controllati. Tra questi approcci quelli che vanno menzionati sono: ’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Schema Therapy, la Dialectical Behavior Therapy (DBT), la Terapia Metacognitiva (MCT), la Compassion Focused Therapy (CFT) e le terapie basate sulla Mindfulness (MBCT, MBSR).

DEPRESSIONE

La depressione è la malattia mentale più diffusa. Ne soffrono 3-4 persone su 100. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nel 2030 rappresenterà la prima causa di disabilità della popoalzione dei paesi ricchi. Uno dei principali problemi connessi con la depressione è che spesso il paziente depresso trascura la necessità di curarsi e arriva ad una diagnosi dopo molto tempo dai primi sintomi e sotto la spinta dei suoi familiari. Studi hanno evidenziato come pazienti con depressione maggiore abbiamo un aumentato rischio di sviluppare altri disturbi come il diabete mellito, disturbi cardiaci, ictus, ipertensione, obesità, cancro, disturbi cognitivi e morbo di Alzheimer. Tutti devono sapere che la depressione oggi è una malattia curabile. La disponibilità di nuovi farmaci antidepressivi efficaci e ben tollerati e l’affinamento delle tecniche psicoterapeutiche, soprattutto quelle a indirizzo cognitivo-comportamentale, consentono oggi migliori e più veloci esiti terapeutici rispetto al passato e un elevato livello di qualità della vita dei pazienti.

DISTURBI DI PERSONALITA’

I disturbi di personalità sono quadri psicopatologici che non si caratterizzano per uno specifico sintomo o comportamento disadattitivo, come per esempio nel disturbo ossessivo-compulsivo, nella depressione o negli attacchi di panico, ma dalla presenza esasperata e rigida di alcune caratteristiche di personalità.

La personalità (o carattere) è stata definita in molti modi, ma si può dire che sia l’insieme delle caratteristiche, o tratti stabili, che rappresentano il modo con il quale ciascuno di noi risponde, interagisce, percepisce e pensa a ciò che gli accade.

Si può anche dire che la personalità, per chiunque e non solo per chi soffre di disturbi di personalità, sia il modo stabile che ciascuno di noi si è costruito, con le proprie esperienze ed a partire dal proprio temperamento innato, di rapportarsi con gli altri e con il mondo.

I tratti che la compongono rappresentano le caratteristiche del proprio stile di rapporto con gli altri: così esiste per esempio il tratto della dipendenza dagli altri, o della sospettosità, o della seduzione, oppure quello dell’amor proprio.

Normalmente questi tratti devono essere abbastanza flessibili a seconda delle circostanze: così in alcuni momenti sarà utile essere più dipendenti o passivi del solito, mentre in altri sarà più funzionale essere seducenti.

I disturbi di personalità sono caratterizzati dalla rigidità e dalla presentazione inflessibile di tali tratti, anche nelle situazioni meno opportune. Ad esempio, alcune persone tendono sempre a presentarsi in modo seducente indipendentemente dalla situazione nella quale si trovano, rendendo così difficile gestire la situazione; altre persone, invece, tendono ad essere sempre talmente dipendenti dagli altri che non riescono a prendere autonomamente proprie decisioni.

Solitamente tali tratti diventano così consueti e stabili che le persone stesse non si rendono conto di mettere in atto comportamenti rigidi e inadeguati, da cui derivano le reazioni negative degli altri nei loro confronti, ma si sentono sempre le vittime della situazione e alimentano il proprio disturbo di personalità.

Così, ad esempio, una persona che presenta un disturbo paranoide di personalità, non capisce che, con il suo comportamento sospettoso, non dà fiducia agli altri, e si “tira addosso” fregature e reazioni aggressive, confermandosi l’idea che non ci si può fidare di nessuno.

DISTURBI D’ANSIA

I disturbi d’ansia sono tra i maggiori responsabili di disagio di gran parte della popolazione generale, soprattutto nei paesi a reddito elevato. Nelle persone  che ne soffrono, sono causa di perdita di produttività sul lavoro, di difficoltà nelle relazioni familiari e sociali, e di disturbi somatici cronici e della sessualità. Nei bambini e nei giovani sono causa di un calo importante del rendimento scolastico e accademico e interferiscono sulle capacità di relazione con i pari. Tra gli adulti, sono tra la causa più frequente di accesso al Pronto Soccorso per motivi di disagio psichico. Oggi la terapia combinata farmaci + psicoterapia cognitivo comportamentale si è rivelata particolarmente efficace negli studi, nel risolvere molti dei disturbi d’ansia, soprattutto quando la sintomatologia e i pensieri disfunzionali che li accompagnano non hanno avuto il tempo di consolidarsi.

DISTURBO OSSESSIVO- COMPULSIVO O D.O.C.

Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo psicopatologico caraterizzato da pensieri, immagini, o impulsi a comportarsi in un certo modo, ricorrenti e difficile da impedire. Questi pensieri/immagini/impulsi causano nella persona reazioni di disgusto e ansia e la obbligano a tranquillizzarsi mediante azioni ripetive che sfociano in rituali o idee ossessive. Per queste ragioni alcune volte le ossessioni vengono denominate manie o fissazioni. Le persone che ne soffrono, percepiscono spesso le ossessioni come irrazionali ma anche come incontrollabili e impossibili da interrompere (compulsive). Il DOC tende a esordire precocemente, spesso fin dall’infanzia o dall’adolescenza. Per questa ragione, alcuni recenti studi sembrano suggerire che alla base del DOC possano risiedere fattori cognitivo-intellettivi disfunzionali che spazierebbero da alcuni disturbi di apprendimento (DSA) fino all’intelligenza superdotata (Gifted) di alcuni pazienti.

Coloro che soffrono di DOC possono:

temere oltremodo lo sporco, i germi e/o le sostanza disgustose;

essere terrorizzati di procurare inavvertitamente danni a sè o ad altri a causa di errori, disattenzioni e sbadataggini;

temere di perdere il controllo dei propri impulsi aggressivi, perversi, blasfemi, ecc;

avere dubbi persistenti rispetto al sentimento che nutrono verso il partner;

sentire il bisogno di svolgere azioni e sistemare cose o oggetti sempre nel “modo giusto”.

Se il DOC non viene adeguatamente riconosciuto e curato, tende a cronicizzare e ad aggravarsi nel tempo.

LUTTO

Il lutto, dal latino lugere (piangere), è uno stato emotivo specifico e temporaneo, che insorge in seguito ad una perdita, più spesso conseguente alla morte di una persona, emotivamente vicina. E’ una risposta naturale difficilmente evitabile, che affonda le sue origini nelle prime competenze cognitive superiori di homo sapiens.  E’ caratterizzato da tristezza profonda, umore depresso, ritiro dalla abituali attività e da disturbi dell’alimentazione e del sonno. E’ solitamente una sindrome transitoria che tende a risolversi in pochi mesi. Quando l’insieme delle manifestazioni si protrae per un periodo più lungo di sei mesi, si tende a definirlo lutto complicato e a considerarlo una condizione che merita attenzione clinica e terapeutica.

FOBIE

La fobia è definita come una paura irrazionale che produce un comportamento di evitamento consapevole del soggetto, che tende ad allontanare, in più modi, una specifica attività, situazione o oggetto il cui contatto diversamente provocherebbe intense reazioni spiacevoli, sia a livello emotivo e cognitivo (ansia) che fisico (sintomi somatici). L’insieme dei disturbi fobici (tra cui la fobia sociale, la fobia specifica e l’agorafobia) sono tra le forme più comuni di disagio mentale, con una prevalenza a livello mondiale che va dal 3% al 15%. La gravità dei sintomi può variare da lieve e poco invadente a grave e molto grave, e può comportare l’incapacità di una persona di lavorare, viaggiare o interagire con le altre persone nell’ambiente sociale. In genere l’ideazione e il comportamento della persona fobica tendono a mortificarne le qualità, le capacità intellettive e di relazione indipendentemente dalle sue competenze, dall’età e dal livello di istruzione. La fobia rappresenta una sorta di angusta prigione in cui la persona è costretta a muoversi e a ripararsi.  Per questo una diagnosi tempestiva e un intervento precoce possono ottenere risultati di maggior efficacia e restituire alla persona un livello significativamente più elevato di qualità di vita.

QUANDO UNA MALATTIA MINACCIA LA VITA

Quando una persona scopre di avere una malattia grave o subisce un grave trauma fisico che ne limita le funzioni motorie, sensoriali o di funzionamento, viene sottoposto ad un livello di stress ideativo, emotivo e fisico che può oltrepassare i livelli di vulnerabilità psicologica soggettiva e determinare reazioni croniche che possono evolvere in veri e propri disturbi mentali secondari. Il cancro, la chirurgia demolitiva, le malattie neurodegenerative, gli incidenti stradali e le conseguenze di atti di violenza, rappresentano oggi le cause più frequenti di insorgenza di malattie mentali comuni, come la depressione e i disturbi d’ansia, in persone che in precedenza avevano un buon equilibrio psicologico. Il controllo efficace di questi eventi, ha richiesto negli ultimi anni l’affiancamento dello psicologo al medico specialista ospedaliero, e il riconoscimento dell’intervento psicologico e dei metodi della psicologia clinica tra i livelli essenziali di assistenza (LEA) che devono essere garantiti a tutti i pazienti che ricevono una diagnosi di malattia severa o che minaccia la vita.

LE CAPACITA’ NEUROCOGNITIVE O NEUROPSICOLOGICHE

In realtà, per muoverci nel mondo, per studiare, lavorare o per mantenere l’insieme delle nostre relazioni affettive e sociali con gli altri homo sapiens, non utilizziamo solo la nostra intelligenza o le nostre complesse competenze emotive, bensì utilizziamo massicciamente e costantemente quelle che vengono definite competenze neurocognitive o  “funzioni neuropsicologiche”. Senza queste capacità non sapremmo come orientarci, come eseguire un compito semplice come il lavarsi o vestirsi o lo scrivere, ricordare un’informazione appena letta, riconoscere il volto del nostro capo-ufficio o di nostra madre, parlare con senso compiuto o rispondere alla domanda “che ora sono?”.

Queste capacità di base, diverse dalle capacità intellettive e poco influenzabili dal livello culturale del singolo, sono essenziali per la vita di relazione e comprendono principalmente:

  • la memoria a breve termine;
  • la memoria a medio termine;
  • l’attenzione;
  • la concentrazione;
  • la capacità di eseguire compiti semplici (funzioni esecutive);
  • la fluenza verbale (riempire di significato il linguaggio);
  • le abilità visuo-spaziali;
  • la capacità di utilizzare le mani per semplici finalità (prassia fine)

Le competenze neurocognitive possono essere considerate le competenze elementari del nostro cervello, risiedono spesso in sue aree specifiche o sono il risultato del funzionamento armonico e contemporaneo di sue diverse aree. Per questa ragione vengono influenzate negativamente da malattie neurologiche degenerative, come per esempio; la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), il Parkinson e la malattia di Alzheimer. Oppure da traumi in seguito a commozione cerebrale, a ictus o a infezioni del cervello. Un’influenza negativa su queste capacità la esercitano anche le malattie cardiovascolari e i disordini metabolici (es. il diabete), che determinano una sofferenza acuta o cronica dei tessuti del cervello che tendono così a regredire di volume, a lesionarsi e a perdere la capacità di trasmettere tutte le informazioni utili ai nostri comportamenti complessi. In assenza di cause severe di malattia, come quelle specificate, le competenze neurocognitive tendono a regredire naturalmente con l’età, sotto la spinta di quel processo involutivo definito decadimento cognitivo dell’anziano, e oggi sempre più visibile in ragione dell’allungamento della vita soprattutto nei paesi ad alto reddito.

DIAGNOSTICA E VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA

Quando si sospetta un decadimento cognitivo veloce o quando un trauma cerebrale altera improvvisamente le competenze neuropsicologiche queste devono essere sottoposte alla misurazione del loro livello residuo. Le competenze neuropsicologiche cosiddette “normali” sono quelle che sono state misurate nella popolazione italiana media stratificate per età e anni di studio. Con la misurazione infatti non si fa altro che verificare se, in un individuo con età e scolarità determinata, le sue funzioni si discostano ed eventualmente di quanto da questa media. La misurazione si effettua utilizzando dei test specifici per ogni funzione (memoria, attenzione, prassia, funzioni esecutive, ecc.) detti test “neurocognitivi” e di solito riuniti in una serie detta “batteria”. Una valutazione estesa a più funzioni (multidomini) può durare in media dai 40 ai 90 minuti ed è condotta solitamente da un neuropsicologo o da un neurologo. Ogni persona in buona salute che abbia superato i 65 anni dovrebbe conoscere il suo livello di rendimento neurocognitivo. I pazienti con malattie cardiache o metaboliche (ipertensione e diabete) o con pregressi eventi cardiovascolari (ictus, infarti, ecc.) dovrebbero essere sottoposti a tale valutazione e ripeterla dopo eventi acuti o dopo interventi cardiochirurgici (angioplastiche per stenosi carotidee o by-pass aortici o coronarici).

PROGRAMMA ANTI-FUMO

Il tabagismo è responsabile di enormi costi per la salute degli individui, perché è associato a gravi malattie polmonari e ad una drastica riduzione della funzionalità respiratoria in tarda età, che conducono ad una minore sopravvivenza e qualità della vita dei fumatori rispetto a quelli che smettono di fumare o non hanno mai fumato. Tuttavia smettere di fumare non è un obiettivo che può essere lasciato solo alla volontà personale con un percorso solitario di difficoltà e sofferenza. Spesso pensare di smettere o farlo da soli espone a fallimenti che il fumatore assimila come sconfitte insuperabili che lo convincono che non ce la farà mai, neanche in futuro. Questo perchè il tabagismo è una dipendenza da sostanza, ed è definibile come una vera e propria malattia. Tuttavia come tale, può essere curata e risolta come qualsiasi qualsiasi altro problema di salute. Oggi farmaci innovativi ad alta tollerabilità associati alla terapia cognitiva comportamentale breve (6-8 sedute), consentono di smettere di fumare con elevate proporzioni di successo, anche ai forti fumatori. I vantaggi dello smettere di fumare sono innumerevoli e oggi gli studi tossicologici indicano che si è sempre in tempo utile per smettere. Persino i pazienti con tumore polmonare se smettono di fumare alla diagnosi possono avere una migliore risposta alle terapie oncologiche e una migliore sopravvivenza rispetto a chi continua a fumare. Chi volessse smettere di fumare può rivolgersi al nostro studio con il quale collaborano su questo fronte, tossicologi e pneumologi.